Ristoratore di nascita, Stefano Ceccarelli si dedica alla pasticceria negli anni ottanta, prendendo il meglio della decadente e ancora sonnacchiosa Vienna.

giovedì 11 febbraio 2010

Cenni storici: il problema delle fonti


Trattare l'argomento cucina (e con esso la pasticceria) da un punto di vista storico presenta notevoli problemi determinati dalle fonti. Gli scritti che riguardano la cucina sono pochi e l'argomento fu considerato minore nelle epoche passate. Con l'avvento del Cristianesimo, inoltre, sulla buona tavola gravò la disapprovazione del peccato di gola e questo contribuì a limitare la produzione di testi in merito, spesso visti come l'oziosa perdita di tempo di ghiottoni sfaccendati. In particolare troviamo un vuoto dalla caduta di Roma sino all'anno 1000 e le poche indicazioni reperite trattano soprattutto dell'aspetto morale del cibo (digiuni e astensioni nei giorni di magro) o dell'aspetto dietistico: quali ingredienti assumere o meno per restare in salute e curarsi. Ricette, tuttavia, non sono riportate o ci sono pervenute. Solo attorno al XI secolo, nei monasteri, si inizia a stilare ricettari veri e propri, il primo dei quali ci risulta essere quello della badessa Ildegarda di Bingen, figura di spicco dell'epoca e molto famosa per la sua cultura, la sua morale e i suoi manuali di medicina.
Ricostruire ricette tanto antiche nel dettaglio è, tuttavia, oggettivamente molto complesso sia per la mancanza di uniformità di termini e soprattutto per quella di unità di misura: zone diverse parlavano lingue diverse e misuravano in modi del tutto differenti, che talvolta convivevano persino nel medesimo territorio. Oltre a queste poche fonti sono giunti a noi rari testi nei quali la cucina fosse analizzata come strumento di salute e di cura, piuttosto che di piacere. Queste opere, di medici europei o arabi e talvolta di monaci contribuiscono a darci uno spaccato della dietistica nei secoli.
L'argomento comincia a venire trattato con una certa cura e metodo solo a partire dal 1200 e conoscerà un interesse particolare dal 1400-1500. Tuttavia si deve tenere presente che l'analfabetismo era la norma per la maggior parte della popolazione e persino tra i professionisti di alto livello cui molti cuochi e pasticceri appartenevano. Questo aspetto sarà destinato a perdurare anche in epoche più recenti, limitando ulteriormente i testi che trattano di cucina e pasticceria. In tal senso i testi in nostro possesso furono scritti da persone colte e benestanti quando non decisamente ricche, pertanto trattano in larga parte di cucina per ricchi. La tradizione culinaria delle popolazioni è sopravvissuta solo in via empirica passando, diciamo così, da cuoco o cuoca al suo successore.
Va, inoltre, ricordato che le cene e i banchetti solenni erano occasioni mondane, in cui andava ostentata la ricchezza e la potenza del signore: le portate erano nell'ordine delle decine e, poiché molte non venivano quasi toccate, la festa si allargava anche alla servitù che dimorava presso il Signore e che mangiava ciò che era avanzato. Per contro il cibo quotidiano era sobrio e molto moderato; scendendo di classe sociale dal sobrio passava rapidamente al misero. Da tutto questo consegue che i dolci erano effettivamente una portata di lusso, quasi sconosciuta tra la gente comune, se non nelle forme più rustiche. Oggi sono in corso diversi studi filologici sulla cucina delle diverse zone europee che cercano di rintracciare l'origine e sviluppo di alcune preparazioni, perché facenti parte della cultura, dello sviluppo e della storia delle popolazioni.

fonte: www.wikipedia.it

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